Ambasciatore
Pietro Quaroni nasce ad
Anzino in Valle Anzasca il 2
ottobre 1898 da una famiglia
di origine ossolana. A Roma
compie gli studi liceali
all’Istituto Massimo per poi
seguire il corso di laurea
in Giurisprudenza
all’Università “La
Sapienza”, frequentando in
parallelo l’Università degli
Studi Orientali di Napoli
ove si specializza nella
conoscenza della lingua
russa. Durante la Prima
guerra mondiale è Ufficiale
di complemento nell’Arma del
Genio e, dopo aver
partecipato nell’autunno
1917 alla battaglia del
Piave, è decorato della
Croce di Guerra al valor
militare per avere “con
esemplare sprezzo del
pericolo attraversato
ripetutamente il fiume”
nella veste d’ufficiale di
collegamento con i reparti
britannici. Nel 1918 fa
parte della missione
internazionale inviata a
Tiflis per aiutare le truppe
russe bianche del Generale
Wrangler.
Dall’ingresso in carriera
all’allontanamento da
Palazzo Chigi
Rientrato a Roma nello
stesso anno, Pietro Quaroni
riprende gli studi
giurisprudenziali
conseguendo la laurea nel
dicembre 1919: ciò gli
consente di partecipare nel
1920 al primo concorso per
la carriera diplomatica
indetto dal Ministero degli
Esteri dopo la fine del
conflitto. Uscitone
vincitore, è destinato il 6
luglio di quello stesso anno
con il grado di Addetto di
Legazione a Costantinopoli
in un momento
particolarmente delicato per
la Turchia. Infatti, a
seguito del Trattato di
Losanna (24 luglio 1923) che
ridisegna i confini
precedentemente stabiliti
dal Trattato di Sèvres,
Quaroni assiste per un breve
periodo alla definitiva
caduta dell’impero ottomano
e all’ascesa del
nazionalismo di Kemal
Ataturk. Nel settembre 1923
è trasferito all’Ambasciata
a Buenos Aires e nel luglio
1925 è destinato in qualità,
prima, di Secondo e, poi, di
Primo Segretario,
all’Ambasciata a Mosca ove è
testimone delle prime mosse
di Stalin per imporre la sua
teoria di un comunismo come
socialismo in un solo paese.
Nel luglio 1927 Pietro
Quaroni è richiamato a
Palazzo Chigi (sede del
Ministero degli Affari
Esteri fino al 1960) per poi
essere trasferito
nell’ottobre 1928, quindi
dopo poco più di un anno
passato presso
l’Amministrazione centrale,
in Albania. Richiamato a
Roma nell’aprile 1931 è
destinato alla Direzione
Generale degli Affari
Politici in qualità di Capo
dell’Ufficio I° ove si
occupa soprattutto d’Europa
centrale. È questo un
periodo d’intenso lavoro che
lo porta, dopo la nomina a
Consigliere di Legazione, a
partecipare a diversi
negoziati (tra i quali vanno
ricordati quelli riguardanti
la Convenzione consolare con
la Lettonia, la Convenzione
di stabilimento
italo-francese, la
Convenzione per l’esercizio
del tratto ferroviario
Roma-San Marino, i lavori
del Comitato internazionale
di esperti giuridici nel
settore aeronautico e la
Convenzione internazionale
di diritto privato aereo).
In particolare, Quaroni
funge da esperto nella
delegazione guidata da
Benito Mussolini alla
Conferenza di Stresa che
vede riuniti dall’11 al 14
aprile 1935 i Ministri degli
Esteri d’Italia, di Francia
e di Gran Bretagna per
definire una linea d’azione
comune di fronte alla
minaccia dell’Anschluss e
dopo la denuncia da parte di
Hitler delle clausole
militari del Trattato di
pace di Versailles. Proprio
alcuni commenti critici da
lui mossi alla politica
estera del Governo fascista
(legati, tra l’altro, alle
diatribe provocate dalle
sanzioni economiche
deliberate dalla Società
delle Nazioni dopo la guerra
in Abissinia e dalla
conseguente rottura del c.d.
“fronte di Stresa”)
comportano l’allontanamento
di Pietro Quaroni da Palazzo
Chigi ed il suo
trasferimento il 2 settembre
1935, prima, a Salonicco
come Console Generale e poi,
il 7 agosto 1936, a Kabul
con credenziali d’Inviato
Straordinario e Ministro
Plenipotenziario. In
Afghanistan - l’unico Stato
dell’area a mantenere la
neutralità quando durante il
conflitto mondiale - egli
resta per ben otto anni in
condizioni di quasi totale
isolamento. Tuttavia, grazie
alla possibilità di
intraprendere - soprattutto
nel primo periodo della sua
missione - numerosi viaggi
in Asia centrale, India e
Persia, si dedica ad
approfondire la conoscenza
delle culture asiatiche.
Da queste ricerche egli
matura il convincimento che
sia non solo opportuno bensì
assolutamente necessario
impostare una politica
estera non soltanto
eurocentrica ma che tenga
nel dovuto conto le nuove
forze che si affacceranno
sulla scena internazionale
per liberarsi dai lacci del
colonialismo. Da tale
prospettiva deriva il suo
scetticismo - che non
esiterà a manifestare più
tardi - verso quegli
atteggiamenti del Governo
italiano, emersi durante il
negoziato per il Trattato di
pace del 1947, tesi ad
ottenere dagli Alleati
qualche concessione sui
nostri ex possedimenti in
Africa.
Un ruolo di primo piano agli albori del secondo dopoguerra: gli incarichi a Mosca, New York e Parigi
Nel maggio 1944, dopo la
“svolta di Salerno”, Pietro
Quaroni è destinato a Mosca
(più vicina ad essere
raggiunta da Kabul che non
Salerno, sede del governo
provvisorio, ove - si disse
- lo si avrebbe voluto per
coprire la carica di
Segretario Generale) prima
in qualità di Rappresentante
e poi, a seguito del
riconoscimento sovietico del
Governo Badoglio, con
credenziali d’Ambasciatore
d'Italia. Risalgono a quel
periodo (dal 20 luglio 1945
al dicembre 1946) i
tentativi di allacciare un
dialogo con la Jugoslavia
sulla Venezia Giulia, nonché
le sollecitazioni rivolte
alle autorità sovietiche sul
delicato tema della consegna
di presunti criminali di
guerra italiani reclamati da
alcuni Paesi tra i quali,
oltre che la Jugoslavia,
l’Etiopia, la Grecia
e l’Albania. Particolarmente
interessanti sono i giudizi
da lui formulati sulle
prospettive della politica
estera sovietica. Essendo
quest’ultima caratterizzata
da un’incorreggibile
avversione al capitalismo,
secondo Quaroni essa si
propone di costruire attorno
all’URSS una cintura di
sicurezza politico-militare
attraverso l’assoggettamento
degli Stati dell’Europa
centrale e orientale alla
volontà di Mosca. Di qui la
convinzione, maturata
attraverso i colloqui con le
massime autorità locali tra
cui Molotov, che, nonostante
qualche segno di
comprensione nei nostri
confronti, la delegazione
sovietica alla Conferenza di
Parigi si sarebbe astenuta
dall’ammorbidire la sua
rigida linea nei negoziati
di pace con l’Italia. Da
osservatore attento e
lungimirante, Pietro Quaroni
si rende conto fin dal 1944
che i rapporti tra sovietici
da un lato, e americani e
britannici dall’altro, sono
“la
risultante instabile tra il
riconoscimento da parte di
tutti e tre della necessità
d’andare d’accordo se si
vuole evitare un nuovo e
forse più grande conflitto
[…] ed una più intima
convinzione che, alla lunga,
andare d’accordo non è
possibile”.
Nel giugno 1945 egli è
promosso Inviato
straordinario e Ministro
plenipotenziario di prima
classe. Prima di raggiungere
nel novembre 1946
l’Ambasciata di Parigi (fino
ad allora guidata da
Giuseppe Saragat), nel
luglio dello stesso anno è
inviato in missione a New
York per assistere
l’Ambasciatore Alberto
Tarchiani, incaricato
d’illustrare nella
Conferenza dei Ministri
degli Esteri delle Potenze
vincitrici (4 novembre -
dicembre 1946) la posizione
del Governo italiano sulla
definizione dei confini
orientali, con particolare
riferimento alla delicata
questione di Trieste (che
troverà una soluzione
soltanto più tardi con il
Memorandum italo-jugoslavo
firmato a Londra il 5
ottobre 1954 e con il
Trattato di Osimo del 10
novembre 1975). Proprio agli
inizi della sua missione in
Francia (30 novembre 1946),
che si protrarrà per ben
dodici anni, Pietro Quaroni
è chiamato a far parte della
delegazione diretta dal
Presidente del Consiglio
Alcide De Gasperi alla
Conferenza di Parigi per i
negoziati sul Trattato di
pace tra l’Italia e le
Potenze alleate (conclusi il
10 febbraio 1947 con la
firma, anzicché di un membro
del Governo,
dell’Ambasciatore Antonio
Meli Lupi di Soragna che, in
mancanza di un sigillo della
Repubblica italiana, farà
ricorso all’impronta del suo
anello!). È interessante al
riguardo notare come di
fronte al dilemma creatosi
in seno al Governo italiano
se firmare o meno quel
trattato, Pietro Quaroni, in
un suo Rapporto del 26
dicembre 1946 indirizzato al
Ministro degli Esteri,
Pietro Nenni, suggerisce di
astenersi dal firmare il
Trattato di pace e di
motivarne il rifiuto "in
modo da renderlo simpatico
agli americani". Infatti,
egli era consapevole dei
sentimenti dell’opinione
pubblica statunitense,
convinta delle ingiustizie
da noi patite e della
violazione dei principi che
a suo tempo avevano portato
Washington a entrare in
guerra. Con questa scelta,
Quaroni consiglia
d’insistere non tanto sulle
amputazioni territoriali
imposte all’Italia quanto,
piuttosto, sull’assenza di
consultazioni delle
popolazioni interessate,
raccomandando altresì di
“non toccare le questioni
inerenti le colonie”.
L’impegno per il
ristabilimento delle
relazioni diplomatiche con
la Francia
A Parigi Pietro Quaroni si
impegna nel promuovere
iniziative tese a superare i
risentimenti di un’opinione
pubblica locale scossa dai
ricordi dell’occupazione
italiana del giugno 1940, al
fine di ricollocare le
relazioni con la Francia sui
binari di una franca
amicizia, sottolineata anche
da felici iniziative sui
piani economico e culturale.
Il compito si rivela
tutt’altro che semplice: a
riprova di uno stato d’animo
a noi ostile interviene nel
dicembre 1948 il voto
contrario, espresso
all’unanimità dall’Assemblea
Nazionale, all’Accordo
concluso dall’Ambasciatore
d’Italia e dal Ministro
degli Esteri, Georges
Bidault, l’8 luglio di
quello stesso anno che
rettifica a favore del
nostro Paese il confine
stabilito dal Trattato di
pace nella zona del
Moncenisio. È interessante
notare come di fronte a
questo episodio Pietro
Quaroni inviti il Governo
italiano a non
drammatizzarlo. Pur
dichiarando che i rapporti
italo-francesi paiono ancora
“instabili, superficiali e
poco sviluppati in
profondità”, in quanto
l’Italia continua ad essere
considerato un Paese “non
co-belligerante ma ex
nemico”, egli conclude
osservando che “ci vogliono
ancora degli anni di lavoro
paziente e silenzioso prima
di poter dire d’aver dato
una base veramente solida”
alle relazioni
italo-francesi. È così che
fin dal maggio 1947 Pietro
Quaroni si adopera per
sviluppare la collaborazione
tra le industrie dei due
Paesi quale premessa, a
seguito dell’inizio della
guerra fredda, per ancorare
saldamente l’Italia al
blocco occidentale ancor
prima dell’entrata in
funzione del Piano Marshall.
Su impulso di Luigi Einaudi
egli promuove l’istituzione
presso la Città
Internazionale Universitaria
di Parigi della Maison de
l’Italie (inaugurata nel
1858 alla presenza del
Presidente della Repubblica
francese, René Coty e del
Presidente del Senato,
Cesare Merzagora),
istituzione che il regime
fascista si era a suo tempo
rifiutato di aprire nel
periodo tra le due guerre. È
sempre nei primi anni della
sua missione a Parigi che,
in una lettera indirizzata
al primo Presidente della
Repubblica, egli sostiene la
necessità per l’Europa
occidentale di premunirsi
contro il rischio che i
sovietici arrivino “in
poche settimane fino a
Lisbona”,
dichiarandosi pertanto
favorevole a un’unione
difensiva saldamente legata
agli Stati Uniti. Dopo il
“colpo di Praga” del 1949
Pietro Quaroni sostiene che
una politica di neutralità
non sia più materialmente
praticabile e ne trae la
conseguenza che l’Italia
debba assolutamente figurare
tra i fondatori
dell’Alleanza atlantica. Ciò
non significa, naturalmente,
che egli non auspichi la
distensione tra Est e Ovest:
tuttavia, nei suoi scritti
lascia talvolta trasparire
lo spettro di un conflitto
inevitabile anche se non
imminente.
A facilitare la
riconciliazione
italo-francese, di cui più
tardi si dirà che Pietro
Quaroni ne è stato il vero
artefice, concorre
certamente il contesto
internazionale alla base
dell’Alleanza
franco-britannica firmata a
Dunquerque il 4 marzo 1947.
Tale intesa è principalmente
motivata dall’inizio della
Guerra Fredda che porterà,
dopo il Piano Bevin,
all’allargamento dell’intesa
originaria prima al Benelux
(Trattato di Bruxelles del
17 marzo1948) e, poi, ad
altri Paesi europei, tra i
quali l’Italia, che danno
vita nel 1954 all’Unione
dell’Europa Occidentale
(UEO). Rispetto alle intese
di quei primi anni Pietro
Quaroni si mostra da subito
favorevole, raccomandando a
Roma una “adesione di
principio, ma di attesa in
realtà”: in altri termini di
attesa “che siano gli altri
a venirci a cercare”. Nei
suoi Rapporti a Roma egli
precisa il suo pensiero
affermando che la neutralità
“non è purtroppo nello
spirito dei tempi”: essendo
la guerra “guerra del bene
contro il male… la stessa
idea di neutralità è un
crimine”. Nei Rapporti
inviati al Ministro Gaetano
Martino egli riprende l’idea
d’una federazione da attuare
progressivamente e “dotata
per forza di una politica
estera e di un esercito
europeo” capace di superare
la gretta visione dei
nazionalismi per risolvere i
problemi politici e
economici dell’Europa. A
coronare i positivi e
lusinghieri risultati della
sua lunga missione in
Francia interviene il
conferimento da parte del
Presidente Luigi Einaudi
dell’insegna di Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine al
Merito della Repubblica
italiana per l’intensa
azione da lui svolta nei
settori della
riconciliazione tra Francia
e Italia, dell’integrazione
europea e dell’intesa (poi
naufragata) sulla sicurezza
europea. Nell’aprile 1958, a
pochi mesi dal ritorno al
potere di Charles De Gaulle
e del referendum che
instaura la Quinta
Repubblica, Pietro Quaroni è
destinato a Bonn e, nel
1961, a Londra ove resta
fino al momento del suo
collocamento a riposo nel
novembre 1964. Nello stesso
anno è nominato Presidente
della RAI, carica che
mantiene fino al giugno 1969
quando assume la presidenza
della Croce Rossa Italiana.
Muore a Roma l’11 giugno
1971. Nel 2018, a cento anni
dalla nascita, il Comune di
Bannio Anzino gli conferisce
il titolo di “Anzinese
benemerito”.
Opere
L’Italia e i problemi
internazionali, ISPI,
Milano,1935;
Ricordi di un Ambasciatore,
Garzanti, Milano, 1954;
Croquis d’ambassade,
Plon, Paris,1955;
Valigia diplomatica,
Garzanti, Milano,1956;
Aspetti della diplomazia
contemporanea. Oriente e
Occidente, Istituto
veneto di scienze, Venezia
1956;
Diplomate pack,
Schleffler, Frankfurt, 1958
;
Valise diplomatique,
Plon, Paris,1958 ;
Die Stunde Europas,
Schleffler, Frankfurt, 1959;
Koexistenz zwischen Freiheit
und Diktatur, Frankfurt,
1961;
L’Europa al bivio, Ferro
Ed., Milano,1965;
Il mondo di un ambasciatore,
Ferro Ed., Milano,1965;
Il Patto Atlantico,
Volpe, Roma,1966;
Problemi di politica del
nostro tempo, Garzanti,
Milano,1966;
Diplomatic Bags: An
Ambassador’s Memoirs,
Weidenfeld and Nicolson,
London, 1966;
La pace e la guerra
nell’azione di W. Churchill,
Centro di Culture E.Puecher,
Milano,1966;
Pace e Libertà – il Patto
Atlantico, Lib. Frattina
Ed., Roma, 1970;
Russen und Chinesen, Scheffler, Frankfurt,1968.
A cura dell’Ambasciatore Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli