Professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università degli Studi di Torino, successivamente nell'Università degli Studi di Torino
Giuseppe Ottolenghi nasce a Torino il 1° luglio 1876.
Iscrittosi alla Regia
Università di Torino,
consegue la laurea in
Giurisprudenza
il 9 luglio 1897, con la
votazione finale di
cento/centodieci. Tra i
relatori della sua tesi
compare il nome di Guido
Fusinato, allora
ordinario di diritto
internazionale
nell’ateneo piemontese.
Una brillante carriera accademica: da libero docente a Pavia a professore ordinario a Torino
L’attività
accademica di Ottolenghi
inizia nel 1904
all’Università di Pavia,
ove viene ammesso alla
libera docenza.
Tuttavia, la
collaborazione con
l’ateneo lombardo volge
rapidamente al termine,
in quanto dopo soli due
anni ottiene il
trasferimento a Torino.
Nella sua città natale,
Ottolenghi a partire dal
1906 è libero docente di
diritto internazionale,
affiancando l’allora
titolare della cattedra,
Giulio Diena. L’attività
accademica di Giuseppe
Ottolenghi si rivela
particolarmente
proficua, in quanto egli
si inserisce ben presto
nella vivace e brillante
scuola
internazionalistica
italiana. In
particolare, Giorgio
Cansacchi d’Amelia
riporta che il giovane
Ottolenghi gareggia “per
vivezza d’ingegno, per
ampia cultura e per
capacità sistematica con
i grandi nomi di
Anzilotti, di Marinoni,
di Perassi, di
Gherardini, di Fedozzi,
di Cavaglieri, ecc.”.
Nel 1916 è professore
incaricato di diritto
internazionale presso
l’Istituto Superiore di
Scienze Economiche e
Commerciali, pur
continuando a
collaborare fino al 1925
come libero docente con
la cattedra detenuta dal
Diena presso la Facoltà
di Giurisprudenza. Nel
1921, dopo soli cinque
anni di incarico,
Ottolenghi diviene
titolare della cattedra
di diritto
internazionale presso
l’Istituto Superiore,
per poi ricevere la
nomina a professore
ordinario della medesima
disciplina nel 1924.
Nel 1925 Guido Diena,
con il quale Ottolenghi
collaborava sin dal suo
approdo all’ateneo
torinese, è trasferito
all’Università di Pavia,
e la cattedra di diritto
internazionale nella
Facoltà di
Giurisprudenza è per un
brevissimo periodo
affidata alla supplenza
di Gaetano Arangio-Ruiz,
costituzionalista da
poco trasferito
dall’Università di
Modena. Dopo tale
parentesi, la medesima
cattedra è assegnata
proprio a Ottolenghi,
principale collaboratore
di Diena, il quale
assume la qualifica di
professore incaricato.
Nei sette anni
successivi Giuseppe
Ottolenghi continua a
detenere il doppio ruolo
di ordinario
nell’Istituto Superiore
di Scienze Economiche e
Commerciali e di
incaricato presso la
Facoltà di
Giurisprudenza. La sua
produzione scientifica e
la sua crescente fama
accademica, sempre più
riconosciute nell’ambito
della scuola torinese,
si affiancano ad una
altrettanto prolifica
attività nel settore
legale. Ottolenghi è
infatti conosciuto come
uno dei più brillanti
avvocati della città,
esercitando la sua
professione nell’ambito
del Foro torinese con
particolare passione e
successo. Nella
conduzione dello studio
legale Ottolenghi è ben
presto affiancato dal
figlio Massimo,
anch’egli distintosi
negli anni successivi
nella professione
forense. Nel 1932
Giuseppe Ottolenghi
ottiene il definitivo
trasferimento dalla
cattedra di “Istituzioni
di diritto pubblico e
diritto internazionale”
nell’Istituto Superiore
di Scienze Economiche e
Commerciali alla
cattedra di diritto
internazionale nella
Facoltà di
Giurisprudenza. La
decisione gli viene
notificata con una
lettera del Preside,
Emilio Crosa, datata 5
luglio 1932, con
decorrenza dal 1°
novembre 1932. L’opera
intellettuale di
Ottolenghi prosegue con
particolare vivacità
presso la Facoltà di
Giurisprudenza,
affermandosi sempre di
più come degno
continuatore
dell’illustre tradizione
internazionalistica
torinese. Ottolenghi si
distingue come
insegnante mite e
benevolo,
particolarmente amato
dagli studenti per il
suo buon carattere. Tra
i suoi studenti più
celebri è possibile
ricordare Emile Chanoux,
tra i più attivi fautori
del progetto di
autonomia regionale
valdostana.
Negli anni del regime
fascista non sono
mancati esempi di
opposizione da parte dei
docenti della Facoltà di
Giurisprudenza
dell’Università di
Torino. Tra questi si
ricordano oggi,
ex multis, le figure
di Luigi Einaudi, al
quale è oggi dedicato il
Campus che ospita il
Dipartimento di
Giurisprudenza, e di
Giuseppe Ottolenghi.
Quest’ultimo, infatti,
proviene da una famiglia
caratterizzata da una
solida tradizione
liberale e laica, in
completa antitesi con
l’ideologia del regime.
Il medesimo sentimento
antifascista alberga
anche tra i parenti
della moglie del
docente, i quali
collaborano al movimento
antifascista torinese
insieme a numerosi
giovani intellettuali,
tra i quali Massimo
Mila, Franco
Antonicelli, Cesare
Pavese, Giulio Carlo
Argan, Carlo Dionisotti,
Giulio Einaudi, Vittorio
Foa, Carlo Levi e lo
stesso Massimo
Ottolenghi.
Il
Gli anni del regime fascista e il tragico allontanamento dalla docenza.
Il 1938 è il triste anno
caratterizzato
dall’emanazione delle
leggi razziali fasciste,
un corpus di norme
giuridiche che hanno
come principale effetto
l’esclusione delle
persone di origine
ebraica da una vasta
gamma di incarichi
pubblici, ivi inclusa la
docenza universitaria.
Giuseppe Ottolenghi è
dunque parte di quel
gruppo di nove docenti
dell’Università di
Torino costretti a
lasciare la loro
cattedra in ragione
delle loro origini
ebraiche. Insieme a lui
sono allontanati dalla
Facoltà il professore
emerito Gino Segré,
l’ordinario Cino Vitta
ed i liberi docenti
Riccardo Fubini, Alberto
Montel, Costantino
Ottolenghi e Samuele
Renato Treves, oltre a
due assistenti. Le
ricostruzioni di tale
momento drammatico
denotano una particolare
“freddezza ed
asciuttezza burocratica”
da parte di Emilio
Crosa, preside della
Facoltà di
Giurisprudenza, nel
comunicare la decadenza
di Ottolenghi e degli
altri docenti. Egli,
infatti,
in
una breve comunicazione
“invia
loro un saluto,
ricordandone la
collaborazione alla
Facoltà”, senza
aggiungere altro.
L’umiliazione è altresì
accentuata
dall’apparizione in
città di alcuni
manifesti denigratori, i
quali rendono pubblici i
nomi dei docenti
allontanati dall’ateneo
in forza delle leggi
razziali.
L’allontanamento di
Giuseppe Ottolenghi
costituisce un momento
di profonda crisi per la
cattedra di diritto
internazionale torinese
che, rimasta
momentaneamente vacante,
rischia addirittura la
soppressione.
Successivamente, grazie
anche alla mediazione
tra i colleghi, la
Facoltà decide di
mantenere la cattedra
affidandola ad
Alessandro Passerin
d’Entrèves. La nomina
non è affatto casuale. È
Luigi Einaudi, collega e
amico di
Ottolenghi, a proporre e
caldeggiare la nomina
del docente valdostano:
la scelta di uno
studioso della filosofia
del diritto e non di un
internazionalista
avrebbe infatti reso
possibile restituire la
cattedra a Giuseppe
Ottolenghi una volta
superata la triste
parentesi delle
persecuzioni razziali.
Così, seguendo il
disegno dell’Einaudi,
Passerin d’Entrèves si
impegna nei confronti
del Consiglio di Facoltà
a restituire la cattedra
al legittimo titolare
non appena
sia
possibile restituirgli
quanto gli
è
dovuto.
Successivamente
all’allontanamento
dall’Università,
Ottolenghi si dedica a
tempo pieno
all’avvocatura.
Tuttavia, la legge 29
giugno 1939, n. 1054
impone la cancellazione
dei cittadini di origine
ebraica dagli albi
professionali, privando
dunque Ottolenghi anche
della professione
forense. Con l’avvento
dell’occupazione nazista
e della nascita della
Repubblica Sociale
Italiana, il professore
è poi costretto a
rifugiarsi con la
famiglia nelle Valli di
Lanzo per sfuggire alla
deportazione, nonostante
il figlio Massimo,
partigiano combattente,
gli consigliasse di
valicare il confine come
il suo collega Luigi
Einaudi.
A seguito della
Liberazione e
dell’abrogazione delle
leggi razziali, nel 1945
Giuseppe Ottolenghi
riprende il suo posto
nel corpo docente
dell’Università di
Torino. Egli è così
nuovamente abilitato a
partecipare alle
riunioni del Consiglio
di Facoltà, il cui
Preside temporaneo nella
prima riunione si dice
“lieto di porgere alla
ripresa della vita
universitaria, anche a
nome di tutti i
colleghi, il più lieto
saluto al prof.
Ottolenghi”.
Ottolenghi è ormai il
decano della Facoltà.
Pertanto, a lui è
spettato il 21 settembre
1945 presiedere
all’elezione del nuovo
Preside della Facoltà di
Giurisprudenza, dopo il
periodo straordinario di
transizione. La nuova
elezione ha portato alla
nomina di Giuseppe
Grosso, che resta in
carica fino alla morte
nel 1973.
La riammissione di
Ottolenghi nel ruolo di
ordinario di diritto
internazionale è
ufficializzata il 27
maggio 1946 da parte del
Ministro della Pubblica
Istruzione. Il professore
riprende così la sua
attività didattica
presso l’ateneo
piemontese, venendo
inoltre nominato nel
1948 membro del
Consiglio direttivo
dell’Istituto giuridico.
L'anno successivo
diventa presidente della
Sezione torinese della
SIOI (Società Italiana
per l'Organizzazione
Internazionale) della
quale è stato, nel 1947,
tra i soci fondatori.
Ricoprirà la carica di
presidente per quattro
anni fino al 1953.
Nel frattempo,
nel 1950, diviene
socio
corrispondente
dell’Accademia delle
Scienze di Torino, per
poi essere promosso a
socio
nazionale residente nel
1953.
La carriera accademica
di Giuseppe Ottolenghi
volge al termine il 1°
novembre 1951, con il
collocamento a riposo
per raggiunti limiti
d’età. Nel comunicargli
l’avvenuto
pensionamento, il
Rettore Mario Allara gli
esprime “le espressioni
del più vivo
ringraziamento per
l’opera svolta in pro
della Scuola”. L’anno
successivo il Consiglio
della Facoltà, in segno
di alto riconoscimento
del magistero svolto,
all’unanimità delibera
di proporre la sua
nomina a professore
emerito, richiesta
accolta dal Ministro
della Pubblica
Istruzione Segni. In
particolare, nella
lettera con cui notifica
l’attribuzione della
qualifica di emerito, il
Ministro incarica il
Rettore Allara di
rinnovare ad Ottolenghi
“i sensi del vivo
compiacimento di questo
Ministero per l’alto
riconoscimento che ha
coronato la Sua lunga e
nobile carriera”.
Giuseppe Ottolenghi si
spegne in Ceres il 31
agosto 1955. La notizia
della sua morte genera
grande cordoglio negli
ambienti accademici:
l’estremo saluto gli
viene tributato da
colleghi e studenti il 2
settembre presso il
Palazzo del Rettorato
dell’Università di
Torino. I messaggi di
condoglianze di ben
ventisette atenei
italiani giunti al
Rettore Allara nei
giorni successivi alla
morte costituiscono la
dimostrazione dell’alta
considerazione di cui
Giuseppe Ottolenghi
godeva nel mondo
accademico italiano.
La prima produzione
scientifica di Giuseppe
Ottolenghi si
caratterizza per la sua
appartenenza alla scuola
di Guido
Fusinato, suo relatore
in sede di laurea ed
allora ordinario di
diritto internazionale
nell’Università di
Torino. Seguendo dunque
le orme del suo Maestro,
egli si dedica in prima
battuta
all’approfondimento del
diritto internazionale
privato. Del resto,
questa materia desta in
lui particolare
interesse anche per
ragioni di tipo
professionale, in quanto
già nei primi anni dopo
il conseguimento della
laurea egli esercita
come avvocato nel Foro
torinese.
Gli studi di
Ottolenghi si dimostrano
particolarmente
proficui, in quanto già
nel 1902 egli pubblica
una monografia
sull’istituto della
cambiale. Nel volume, il
professore dedica
particolare attenzione
agli aspetti
internazionalistici
dell’istituto,
inquadrandolo nell’alveo
di una ricostruzione di
alcuni aspetti di teoria
generale del diritto
internazionale privato.
Il testo riceve
particolare attenzione e
accoglienza da parte
della dottrina a lui
contemporanea, in quanto
all’epoca non
sussistevano ancora
analisi in materia
caratterizzate da un
grado di profondità
comparabile. L’opera è
altresì preceduta da
alcuni scritti minori,
anch’essi attinenti a
tematiche di diritto
internazionale privato,
i quali permettono a
Ottolenghi di fare il
proprio ingresso nel
mondo accademico
italiano. Sempre
nell’alveo del diritto
internazionale privato
si pone lo studio del
1907 sulla frode alla
legge in materia di
divorzio, opera nel cui
contesto l’autore ha
l’opportunità di
affrontare alcune
importanti questioni
giuridiche in materia di
diritto processuale
internazionale.
Agli interessi in
materia di diritto
internazionale privato
si affiancano ben presto
gli studi di diritto
internazionale pubblico.
Infatti, nel 1907
Giuseppe Ottolenghi
pubblica un’apprezzata
analisi del rapporto di
neutralità tra Stati.
L’opera diviene ben
presto un saldo punto di
riferimento nel panorama
internazionalistico
italiano, ricevendo
un’alta considerazione
in ragione della
completezza e del rigore
che la
contraddistinguono. A
completamento di questo
volume, nel 1910 il
docente pubblica una
monografia sui diritti
dei neutri, la quale
riceve un’accoglienza
comparabile a quella
riservata al precedente
lavoro.
Le monografie realizzate
in questi primi anni di
attività garantiscono a
Giuseppe Ottolenghi un
ruolo di rilievo in seno
al nuovo gruppo di
internazionalisti che va
affermandosi in Italia,
con Dionisio Anzilotti,
Arrigo Cavaglieri,
Prospero Fedozzi, Mario
Marinoni e Tomaso
Perassi. Inoltre, la sua
prolifica produzione
scientifica gli apre le
porte della carriera
universitaria, grazia
anche alle prime
esperienze di docenza
tra Pavia e Torino. Il
plauso ricevuto dalla
comunità accademica
porta Ottolenghi a
cimentarsi con tema più
complesso e altamente
controverso in dottrina,
alias la funzione e
l’efficacia delle norme
di diritto
internazionale privato.
Il risultato di tale
studio consiste in un
breve saggio, realizzato
nel 1913 e pubblicato
nel 1914, la cui
originalità contribuisce
a consolidare
ulteriormente la fama e
la reputazione
accademica del docente
torinese.
L’attività scientifica
di Giuseppe Ottolenghi
riprende con rinnovato
vigore al termine della
Grande Guerra. Succeduto
a Giulio Diena nella
titolarità della
cattedra di diritto
internazionale alla
Facoltà di
Giurisprudenza,
Ottolenghi dimostra una
rimarchevole capacità di
equilibrio tra gli
impegni accademici e
quelli professionali.
Infatti, nonostante
esercitasse da anni la
professione forense e
conducesse uno stimato
studio legale, il
professore non viene mai
meno alla ricerca
scientifica, continuando
a realizzare opere
dottrinali di indiscusso
valore.
È il caso dei trattati
realizzati tra il 1923
ed il 1925. Le due
opere, dedicate
rispettivamente al
diritto internazionale
pubblico ed al diritto
internazionale privato,
vengono periodicamente
aggiornate ed arricchite
dal professore
attraverso le sue
lezioni ed i suoi nuovi
studi. I due testi
costituiscono così il
principale veicolo di
diffusione in ambito
accademico dei prodotti
della sua attività
scientifica, tanto che
sono pubblicati
periodicamente sotto
forma di dispense. La
lunga gestazione dei due
trattati di diritto
internazionale
costituisce la prova più
tangibile non solo della
volontà di
Ottolenghi di
approfondire
incessantemente la
materia (o, come
affermato da Giorgio
Cansacchi d’Amelia, “la
sua inappagata ricerca
della verità”), ma anche
del suo profondo
scrupolo scientifico e
del forte senso di
autocritica. Sono queste
caratteristiche
personali che lo portano
costantemente a
ritardare l’uscita delle
proprie opere, tanto che
la versione integrale
dei trattati di diritto
internazionale vede la
luce solamente postuma
nel 1956, portando con
sé un’elaborazione ed
uno studio quasi
trentennale.
In quegli stessi anni
Ottolenghi collabora con
la prestigiosa
Rivista di diritto
internazionale,
periodico allora diretto
da Dionisio Anzilotti,
ove vengono pubblicate
due sue nuove
monografie. Si tratta,
in particolare, di un
saggio sulla personalità
internazionale delle
unioni di Stati, edito
nel 1925, e di un
ulteriore scritto sul
principio di effettività
nel diritto
internazionale,
apprezzati per la loro
ampiezza e profondità
scientifica. Oltre a
tali opere è opportuno
ricordare un cospicuo
numero di note a
sentenze pubblicate
nella
Rivista
di diritto commerciale,
apprezzate dalla
comunità scientifica per
il rigore e la
chiarezza.
Nel medesimo periodo la
Facoltà di
Giurisprudenza
dell’Università di
Torino è chiamata a
collaborare in seno alla
Commissione consultiva
per la redazione del
nuovo codice civile,
emanato successivamente
nel 1942. Giuseppe
Ottolenghi prende
attivamente parte ai
lavori della
Commissione,
contribuendo
all’elaborazione delle
norme concernenti il
diritto internazionale
privato. Il testo in
discussione all’epoca
della partecipazione di
Ottolenghi prevede la
parità di tutti i
cittadini di fronte alla
legge, riprendendo i
principi del codice del
1865. Tuttavia, in
seguito all’emanazione
delle leggi razziali (e
al conseguente
allontanamento di
Ottolenghi dall’ambiente
accademico), il testo
viene modificato
profondamente dal
Ministro della Giustizia
Arrigo Solmi: il
principio di
uguaglianza, alla cui
formulazione
Giuseppe Ottolenghi ha
partecipato, è così
completamente stravolto
e piegato alla politica
razziale del regime
fascista.
Ripresa l’attività di
docenza al termine della
Seconda Guerra Mondiale,
Giuseppe Ottolenghi
pubblica due ulteriori
monografie: la prima,
dedicata al processo di
delibazione delle
sentenze estere, vede la
luce nel 1947, mentre la
seconda, edita nel 1950,
analizza in profondità
il regime di occupazione
bellica. Tuttavia, la
maggior opera distintiva
dell’ultima produzione
scientifica di
Ottolenghi è sicuramente
costituita dalla
pubblicazione dei suoi
corsi di diritto
internazionale. Il
testo, suddiviso in due
distinti volumi
intitolati
rispettivamente
Corso di diritto
internazionale pubblico
e
Corso di diritto
internazionale privato,
viene pubblicato postumo
da Giappichelli nel
1956.
Il professore si dedica
con estrema cura alla
revisione dei due testi
per lunghi anni,
ultimando il lavoro poco
tempo prima della morte.
L’opera è considerata
alla stregua di un
testamento scientifico,
in quanto denota in modo
particolarmente chiaro i
caratteri del suo
pensiero. Nello
specifico, le due opere
dimostrano l’evoluzione
del pensiero di
Ottolenghi, emancipatosi
gradualmente dalle
concezioni anzilottiane
per formulare un proprio
originale pensiero,
lungamente meditato e
caratterizzato anche da
un’acuta critica di
altre opinioni
dottrinali. Tuttavia,
Giuseppe Ottolenghi si
dimostra sempre
essenziale nell’attività
di critica, in quanto il
suo carattere modesto e
il forte senso di
autocritica lo porta a
non esporsi
eccessivamente nella
difesa delle proprie
teorie o a richiamare
onori e riconoscimenti.
Secondo quanto riportato
da Giorgio Cansacchi
d’Amelia, dalla lettura
dei due Corsi emerge
dunque un magistero
“tendente alla
dogmatica, ma temperato
dalla conoscenza
storica, critico severo
ma garbato e per nulla
intransigente”.