Ambasciatore - Segretario Generale della NATO - Vice Presidente del Consiglio dei Ministri - Ministro di Stato - Senatore
Manlio Brosio nasce a Torino
il 10 luglio 1897 mostrando
fin da giovane un forte
interesse per la politica.
Di orientamento liberale
come suo padre, grande
elettore di Giovanni
Giolitti, stringe amicizia
con Marcello Soleri
professando come lui un
atteggiamento circospetto
verso l’interventismo.
Tuttavia, nel 1915, allo
scoppio del conflitto
mondiale si arruola
Volontario nel Corpo degli
Alpini conquistando per i
suoi meriti una Medaglia
d’argento e una Croce di
guerra. Nel 1920 si laurea
in Giurisprudenza
alla Regia Università di Torino e
diventa stretto
collaboratore di Piero
Gobetti, Direttore di
“Rivoluzione Liberale”. Nel
giugno 1924, a seguito del
delitto Matteotti, Manlio
Brosio si schiera
all’opposizione contro
Mussolini condividendo
l’atteggiamento d’importanti
personalità come Attilio
Piccioni e Giuseppe Saragat.
Al settembre 1924 risale il
saggio "Il fascismo
annacquato" pubblicato sulla
rivista di Gobetti, nel
quale Manlio Brosio critica
aspramente il dominante
“culto del reduce” accanto
all’esaltazione del
combattentismo.
Gli incarichi istituzionali
nel contesto del Comitato di
Liberazione Nazionale e nei
successivi governi
Estraniatosi dalla politica
attiva ma certamente rimasto
fedele alle sue idee
liberal-democratiche, a
partire dal 1927 Manlio
Brosio esercita a Torino la
professione di avvocato
affermandosi come uno dei
migliori professionisti
della città. Dopo il 25
luglio 1943 entra a far
parte a Roma del Comitato di
Liberazione Nazionale
costituitosi sotto
l’occupazione tedesca. Nel
dicembre 1944 diventa, quale
esponente del Partito
Liberale, Ministro senza
Portafoglio nel Governo
Bonomi III rimanendo in
carica fino al 21 giugno
1945. Nel successivo Governo
presieduto da Ferruccio
Parri è uno dei due Vice
Presidenti del Consiglio
(l’altro è Pietro Nenni) cui
è affidato il compito di
preparare i lavori della
futura Consulta nazionale.
Nel primo Governo De
Gasperi, rimasto in carica
fino al referendum
istituzionale del 1946, gli
è assegnato il Dicastero
della Guerra. A seguito del
referendum del 2 giugno e,
più precisamente, nella notte
tra il 10 e l’11 di quel
mese, rassegna le proprie
dimissioni manifestando
dubbi sull’atteggiamento
delle forze armate e
raccomandando, quindi, che
sia lo stesso Presidente del
Consiglio ad assumere
l’interim del Dicastero da
lui retto. Su questa sua
decisione pesa la linea a
favore del regime
monarchico, e da lui non
condivisa, assunta dalla
maggioranza del Partito
liberale, compagine di cui è
stato, anche se per un breve
periodo, Segretario
Generale.
L’incarico di Capo missione
a Mosca
Su probabile suggerimento di
Pietro Nenni, in un momento
in cui prevale nel Governo
un orientamento favorevole a
destinare nelle sedi
all’estero ritenute più
“sensibili” personalità non
appartenenti alla carriera
diplomatica, Manlio Brosio è
destinato nel dicembre 1946
come Capo Missione in Unione
Sovietica (succedendo così
ad un altro piemontese,
Pietro Quaroni). A Mosca
rimane cinque anni: anni
difficilissimi nel corso dei
quali egli, certamente molto
interessato ad approfondire
la conoscenza di un Paese
che ha contribuito a
sconfiggere la dittatura
hitleriana, si trova a
dovere gestire alcuni
delicati contenziosi che poi
illustrerà nei suoi diari.
Basti qui menzionare, oltre
alla conclusione del primo
accordo commerciale del
dopoguerra, la questione
relativa alla sorte di più
di sessantamila prigionieri
italiani, dei quali soltanto
duemila sono rimpatriati nel
1946, e il trattamento
riservato ai diplomatici
della Repubblica Sociale
Italiana rinchiusi nelle
prigioni sovietiche. Come è
stato scritto, “dalla
dettagliata ricostruzione
della faticosa stagione
negoziale attraverso la
quale Brosio perviene alla
liberazione di molti ostaggi
emerge non soltanto la
personalità di un capace e
ammirevole servitore dello
Stato ma anche quella di un
gentiluomo dalle
ineguagliabili doti umane”.
È interessante notare come,
dal suo osservatorio
moscovita, egli ritenga
inattuabile il disegno di
Pietro Nenni di voler
stabilire un nesso tra la
sua dottrina della
neutralità equidistante
(sostenuta soprattutto nella
sua veste di Ministro degli
Esteri) e una revisione
pacifica delle clausole
imposteci dal Trattato di
pace. L’argomentazione di
Brosio è che mai Mosca
accetterebbe di mettere in
discussione il principio,
cui tiene fermamente, della
revisione dei trattati; di
qui il suo suggerimento di
perseguire come alternativa
al patto di autodifesa
sottoscritto il 17 marzo
1948 con il Trattato di
Bruxelles (prodromico
rispetto agli Atti
costitutivi dell’Unione
dell’Europa Occidentale) una
linea di “neutralità
politico-militare” garantita
dalle Grandi Potenze.
Ambasciatore a Parigi negli
anni della presidenza De
Gaulle
Nel gennaio 1952 Manlio
Brosio è Ambasciatore nel
Regno Unito, ove si occupa
delle trattative - sfociate
nel Memorandum di Londra del
5 Ottobre 1954 - che
porteranno Trieste e gran
parte della Zona A sotto
l’Amministrazione italiana.
Dal gennaio 1955 al 1961 è
destinato a coprire la sede
di Washington, ove assiste
ai cambiamenti della
politica americana con il
passaggio dalla presidenza
di Dwight Eisenhower a
quella di John Fitzgerald
Kennedy. Dal luglio 1961 al
luglio 1964 è Ambasciatore a
Parigi. Nei primi anni della
sua missione in Francia
soffrirà del fatto che
l’incarico ricevuto, seppure
di prestigio, non sembri
rispondere alle aspettative
da lui nutrite in un primo
momento (scriverà anche che
egli non è fatto per giocare
la parte di “piemontese
ottuso e più o meno
onesto”). Eppure le acute
riflessioni e analisi da lui
condotte - risultato di
conoscenze profonde
dell’ambiente politico
francese a partire dagli
stretti legami tessuti con
lo stesso Presidente De
Gaulle - contribuiscono ad
una comprensione non
soltanto dei rischi connessi
alla progressiva
personalizzazione della
politica interna condotta
dal fondatore della Quinta
Repubblica ma anche e
soprattutto degli ostacoli
sulla via del lento processo
d’integrazione europea.
Questi ultimi sono
principalmente riflessi nel
fallimento nel 1962 del
negoziato sull’unione
politica (il c.d. Piano
Fouchet), nel primo rifiuto
opposto nel 1963 (il secondo
è del 1967) alla domanda
d’adesione del Regno Unito,
motivato tra l’altro dagli
stretti legami di
quest’ultimo con la
Superpotenza americana
nonché nel rifiuto
d’attuare, come avrebbe
invece voluto il Governo
italiano, il progetto di
un’Università Europea. Non
mancano, nei Rapporti che
Brosio trasmette a Roma, i
riferimenti alle divergenze
di vedute tra Washington e
Parigi a causa soprattutto
della volontà del Presidente
francese di dare vita ad una
force de frappe nucleare
(vista come preludio al
ridimensionamento del
contributo francese alle
forze convenzionali
atlantiche) e della
decisione di sottrarre al
Comando della NATO la forza
navale francese. Si aggiunga
a ciò la diffidenza verso il
Trattato dell’Eliseo del 22
gennaio 1963 che, pur
elencando tra i suoi
obiettivi anche quello di
favorire “la costruzione
dell’Europa unita”,
suggerirebbe piuttosto,
nelle intenzioni attribuite
al Presidente francese, il
fermo proposito di prendere
le distanze dagli Stati
Uniti. Nel febbraio 1964,
nel commentare nei suoi Diari di Parigi 1961-1964
gli “insegnamenti” da trarre
dalla visita a Parigi del
Presidente della Repubblica,
Antonio Segni, Manlio Brosio
osserva anzittutto che le
titubanze della nostra
delegazione sul rilancio
europeo restano motivate,
soprattutto ed erroneamente,
dalla “pregiudiziale
inglese” dell’adesione alle
Comunità europee anzicché
dall’opportunità d’esigere
da parte di Parigi
“condizioni valide di
europeismo vero”. Nel
concludere queste sue note,
egli si dice convinto che le
forti riluttanze verso
l’alleanza atlantica
dimostrate dai francesi
potrebbero essere da questi
ultimi superate soltanto
muovendo dalla distinzione
fra “un’alleanza che
accettano, una partnership
che non capiscono e una
comunità che temono”. Il
finale di queste sue
riflessioni è rappresentato
dal seguente sconsolato
passo: “Queste sono le linee
del mio Rapporto che
scriverò, ma non so quanto
effetto né eco possano
avere…”.
Gli ultimi anni: da
Segretario Generale della
NATO al ritorno alla vita
politica
Nella seconda metà del 1964 Manlio Brosio, nominato Segretario Generale della NATO, si trasferisce a Bruxelles e, in tale veste, diventa Presidente del Consiglio Atlantico. Negli anni Settanta torna alla politica attiva, venendo eletto nel 1972 Senatore nel Collegio di Torino Centro, carica che mantiene fino al 1976. Manlio Brosio muore a Torino il 14 marzo 1980; il giorno successivo, sul quotidiano Le Monde, Jacques Nobécourt scrive: "La réserve, la sobriété, où se tenait l'ambassadeur Manlio Brosio n'étaient pas incompatibles avec un certain charme, avec l'idée qu'aux grandes époques de l'Europe, sous Charles Quint par exemple, un seigneur européen, un homme politique aux dimensions d'un Empire au-delà des nations, devaient lui ressembler. Un seigneur européen, parce que Piémontais, parce que Turinois, fils d'un lieu de convergences des cultures où l'italianité donne ce qu'elle a de meilleur".
Opere
Riflessioni su Piero
Gobetti,
Torino, Aragno, 2020;
Diari NATO 1964 – 1972,
a cura di U. Gentiloni
Silveri, Bologna, il Mulino,
2008;
Diari di Parigi 1961 – 1064,
a cura di U. Gentiloni
Silveri, Bologna, il Mulino,
2010;
Diari di Washington 1955 –
1961,
a cura di U. Gentiloni
Silveri, Bologna, il Mulino,
2008.
A cura dell’Ambasciatore Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli